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La coppia scoppiata può tornare insieme?


Psicologa, Psicoterapeuta, Salerno, Ansia, Depressione

Quando un amore va in acido e poi finisce, la domanda ricorre, soprattutto nei figli. Torneranno mai insieme mamma e papà? La risposta non è semplice. Non esistono statistiche ufficiali. Vi sono quelle delle separazioni e dei divorzi, ma non quelle delle riconciliazioni, che, probabilmente, sono ben più rare dei primi.

La psicoterapia di coppia, che potrebbe avere come obiettivo la riconciliazione coniugale, pur essendo praticata in tempi più lontani, è diventata oggetto specifico di interesse soltanto a partire dagli anni ’70, quando esplode il dramma della riuscita o del fallimento degli individui che fanno coppia e della coppia in quanto tale.

Fino a tempi relativamente recenti, la realizzazione di una persona, sia essa maschio o femmina, era legata al fare famiglia e all’avere una famiglia. Oggi le cose sono chiaramente cambiate e se di realizzazione di può parlare, è quella individuale ad essere principalmente perseguita. In primo piano vi sono ora le persone, con i propri sogni e bisogni e non più i ruoli da esse tradizionalmente ricoperti nella famiglia. A furia di perseguire gli interessi individuali e di concettualizzare il divorzio come “male minore” rispetto a una relazione falsa e conflittuale, nella quale i figli “soffrono di più”, si è giunti da più parti alla conclusione che la fine di un rapporto coniugale non è altro che una fase del ciclo di vita, da annoverare fra gli eventi normativi, un fatto-accadimento normale (Andolfi, M., Cigoli, V., 2003). Il divorzio non è prerogativa della nostra civiltà, ma siamo solo noi ad averne fatto uno stile di vita, ad avanzare idee come “l’accordo prematrimoniale”, il divorzio “breve” o, per dirla con Lamaire (2002), il divorzio “all’acqua di rose”. Tuttavia la realtà è che il divorzio libera “forze aggressive drammatiche” (Andolfi, M., Cigoli, V., 2003) auto ed etero dirette e costituisce invariabilmente una transizione di vita assai complessa.

La forza della terapia di coppia può risiedere proprio nella sua possibilità di accedere alle modalità in cui, un tempo, si sono intrecciate due personalità separate. Piuttosto che cercare di sbrogliare la matassa motivazionale di ciascun partner, occorre creare un nuovo tessuto condiviso. Quando le coppie entrano nello studio del terapeuta, questi ha l’impressione di stare assistendo alla scena di un dramma, con un suo ritmo ed un suo contenuto, che viene rappresentato davanti ai suoi occhi. Il dramma è di un genere specifico, comico o romantico, e la rappresentazione della coppia è resa possibile dalla presenza terapeutica. Considerare le coppie come attori di un dramma è un’utile metafora per riflettere sull’esperienza condivisa che una coppia, o una famiglia, porta al terapeuta. Le coppie e le famiglie arrivano dunque con un dramma in corso, con una storia che si sta svolgendo. Una caratteristica unica della terapia di coppia è che, a differenza del “parco giochi transferale” della terapia individuale di cui parla Freud, in cui l’analista rappresenta l’effige dell’oggetto assente, la coppia porta al terapeuta la relazione reale: i membri sono costretti dalla reciproca presenza a mettere in atto le loro interazioni consuete. Le coppie che iniziano a descrivere un loro recente conflitto, spesso lo reinterpretano in favore del terapeuta/spettatore. Ciò che la terapia di coppia/familiare e il dramma hanno in comune non è soltanto la “finzione”, ma anche lo straordinario, infinito e ricorrente gioco fra ciò che è reale e ciò che è immaginario. Proprio come il teatro, anche le relazioni familiari e di coppia sono un misto di realtà e finzione. In qualità di regista, come notato anche da Andolfi (1981), il terapeuta porta avanti il dramma e spesso un lieve cambiamento nella storia o nella narrativa può comportare molti spostamenti della vita relazionale. È qui che diviene evidente la creatività dell’intervento. I partner vengono incoraggiati a “recitare” con nuove possibilità in qualsiasi ambito: comportamentale, affettivo, ideativo. La coppia fa un’esperienza simile a quella degli attori in quanto, pur restando chi si è, ci si trasforma in qualcuno in parte sconosciuto, che si rifà però al sé familiare. Così, mentre i partner si percepiscono come i personaggi di una storia, che sovrasta i loro sé individuali, il terapeuta fa da testimone o da spettatore di questa espansione. Nel presentare le interazioni e i pattern ridondanti a un testimone coinvolto, ma neutrale, la coppia avverte la possibilità di una nuova prospettiva, così come gli attori che, pur recitando lo stesso ruolo ogni sera, rispondono alle sottili reazioni del pubblico.

Psicologa, Psicoterapeuta, Salerno, Ansia, Depressione

Seguendo un approccio psicoeducativo, si può affermare che le coppie più disfunzionali si mostrano fondamentalmente disinformate su quali siano gli ingredienti di una relazione sana (Chambers, 2012). La psicoeducazione di coppia deve essere dunque mirata a fornire ai partner, ove ne fossero sprovvisti, informazioni basilari, come nella tradizione psicoeducativa, sulle caratteristiche, individuali e duali, di una relazione di coppia funzionale; ma non può limitarsi a questo, pena un’assoluta inefficacia, bensì deve focalizzarsi anche sull’hic et nunc della coppia, sugli ostacoli di ordine pratico che ne impediscono la funzionalità, sulla comunicazione coniugale ma anche parentale e familiare, sulle cognizioni e/o emozioni disfunzionali di ciascun partner, sugli altri sistemi e sotto-sistemi familiari, organizzativi e sociali che influiscono sulla coppia. Vi è poi la psicoeducazione alla comunicazione, il cui scopo è quello di aiutare la coppia ad accrescere l’empatia reciproca e la “connessione”, vale a dire la capacità di sentirsi in sintonia con il coniuge. Secondo Lukas (1987), «la famiglia è tanto più sana e stabile quanto più i singoli familiari sono in grado di accordare le funzioni che adempiono in seno alla famiglia alle condizioni degli altri membri». Per un sano sviluppo dei membri è molto importante che sia presente in famiglia una coppia armonica, capace di fronteggiare le situazioni in una maniera unitaria e funzionale. Una coppia sta bene quando «riesce ad adattarsi alle esigenze connesse con il processo evolutivo dei due individui che la compongono; non solo adattarsi, ma favorirne lo sviluppo. Ciò avviene quando ciascuno è in grado di utilizzare lo scambio con l’altro in una prospettiva evolutiva che li riguardi entrambi» (Andolfi, 1999). Il momento di grande maturazione è legato alla capacità di guardare l’altro al di là di se stesso. In tal senso, imparare a guardare l’altro nella coppia significa imparare a vedere se stessi (Altomonte, 2016). In tale prospettiva, «ogni familiare è risorsa per la crescita personale di sé e dell’altro e, d’altra parte, la crescita personale di ciascuno è obiettivo per sé e per l’altro» (Bellantoni, 2010).

La coppia armonica, di conseguenza, non è quella che non vive mai la dimensione del conflitto, ma è quella che sa gestirlo, quella che sa plasmarsi a seconda delle situazioni e degli eventi, senza mai perdere di vista la crescita propria e della propria famiglia. Per fare ciò non bisogna mai dimenticare il pensiero di Frankl (2001): «La porta della felicità si apre solo verso l’esterno; chi tenta di sforzarla in senso contrario, finisce per chiuderla ancora di più. Chi insegue la felicità non fa che allontanarla di più, chi dà la caccia al piacere non ottiene che di farlo fuggire più lontano». L’armonia non è qualcosa che va ricercato all’interno di sé, ma va colto nell’altro. Con queste premesse il “noi” ne trarrà beneficio. Una coppia armonica sarà predittiva e propedeutica ad una maggiore possibilità di un “essere educante” coeso, unitario, in favore della prole (Altomonte, 2016).

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